Alimentazione e cambiamenti climatici

La maggior parte di noi è consapevole di come l’utilizzo di auto, il riscaldamento domestico e le fabbriche provochino emissioni di gas serra. È invece meno noto come l’agricoltura globale sia responsabile di circa il 1/3 delle emissioni dovute alle attività umane, una percentuale superiore a quella generata dall’intero settore sia dei trasporti sia della produzione di elettricità, tanto che il cibo finisce per rappresentare una delle principali cause del cambiamento climatico. La zootecnia, da sola, contribuisce per il 18% delle emissioni: infatti, per nutrire, allevare, macellare e vendere bovini e ovini (nella doppia veste di carne e derivati del latte), suini, pollame ecc. è necessario un enorme utilizzo di acqua, terra, pesticidi e fertilizzanti chimici con gravi conseguenze sulla biodiversità. Circa il 30% della perdita di biodiversità terrestre può essere attribuito alle produzioni animali. Contestualmente l’industria alimentare è il settore più esposto ai rischi dei cambiamenti climatici sia a causa dell’alterazione dei cicli climatici tradizionali, sia del degrado ambientale, dell’erosione dei suoli, della siccità, della salinizzazione, delle infestazioni e patologie fungine e virali. Negli ultimi 30 anni, oltre all’intensificarsi di tutte le produzioni alimentari, in particolar modo la domanda di carne, uova, latte e prodotti caseari è significativamente incrementata in tutti i paesi, anche in quelli di nuova industrializzazione. Come WWF agiamo per una drastica riduzione dei consumi di carne e derivati animali nella dieta, degli sprechi alimentari, dei fertilizzanti (azoto e fosforo) e degli inquinanti (dai pesticidi agli antibiotici) a favore di una migliore gestione complessiva del territorio.