Misurare l’impatto degli alimenti

© Global Warming Images / WWF

Conoscere la “vita delle cose” è necessario per comprendere come il valore economico di un bene o servizio non coincida affatto con il suo valore reale.

La carne per esempio, richiede un enorme investimento energetico lungo il proprio ciclo di vita e determina numerosi impatti ambientali durante la fase produttiva, come l’inquinamento delle acque dovuto alla presenza di residui di prodotti fitosanitari ampiamente utilizzati negli allevamenti intensivi, di pesticidi e concimanti, fino alle emissioni di gas serra in atmosfera. Conoscere quali e quante risorse vengono richieste nelle fasi legate alla produzione e al consumo di un bene o di un servizio è fondamentale per la valutazione dell’impatto ecologico del nostro stile di vita in rapporto alle risorse del pianeta. Per farlo, vengono utilizzati degli indicatori specifici in grado di rappresentare in maniera completa e semplice le interazioni tra un prodotto - e la sua filiera produttiva - con i principali comparti ambientali coinvolti.

Assume un ruolo sempre più determinante a tal proposito la Carbon Footprint, l’indicatore che permette di misurare l’impatto che un prodotto ha sul clima, che si candida ad essere lo strumento ideale per la nascita di un nuovo modo di produrre, più responsabile, e di un nuovo modo di consumare, più consapevole.

Che cos’è l’impronta di carbonio?

Il termine impronta di carbonio (Carbon Footprint, CF) si sta diffondendo rapidamente tra i media di tutto il mondo grazie alla rilevanza significativa che hanno assunto le tematiche legate al cambiamento climatico all’interno del dibattito politico internazionale. Il CF identifica l’impatto associato ad un prodotto (o servizio) in termini della quantità totale di “CO2 equivalente” (CO2eq) che si genera per poterlo produrre, trattare e portare fino al punto vendita. Si esprime come chili o tonnellate di CO2 equivalente per chilo o tonnellata di prodotto, ed è la somma del potere riscaldante generato da tutti i gas ad effetto serra (CO2, N2O e CH4) emessi durante le varie fasi del ciclo di vita dell’alimento (dalla sua produzione, al trasporto, confezionamento, distribuzione ed eventuale smaltimento degli scarti). Si definisce LCA (Life Cycle Assessement) l’applicazione di modelli matematici all’analisi del ciclo di vita di un prodotto e dei suoi potenziali impatti, inclusi quelli ambientali, ed è quindi corretto insistere perché la Carbon Footprint ne sia parte integrante finalizzata alla corretta analisi del solo impatto sul riscaldamento globale.

Che cos’è CO2eq?

C’è un aspetto legato ai gas climalteranti che forse non tutti conoscono. Se il biossido di carbonio (o anidride carbonica, CO2) è additato come il gas serra per antonomasia, è fondamentale sapere che ne esistono diversi altri, molto più potenti. Si tratta, in particolar modo, del biossido di azoto (N2O), prodotto principalmente dalle pratiche di fertilizzazione, e del metano (CH4), generato dai ruminanti e dalle attività di fermentazione delle sostanze organiche. CO2eq invece sta per CO2 equivalente, ossia l’unità di misura che permette di pesare insieme le emissioni dei vari gas serra aventi differenti effetti sul clima. Ad esempio il metano ha un potenziale di riscaldamento 21 volte superiore rispetto alla CO2 e per questo 1 tonnellata di metano viene contabilizzata come 21 tonnellate di CO2 equivalente. Il fattore di conversione con il protossido d’azoto è ancora più impressionante: 1tonnellata di protossido di azoto equivale a 310 tonnellate di CO2eq.

Carbon Footprint: emissioni di CO2 sulle etichette

Le etichette sui prodotti alimentari rappresentano un’ancora di salvezza nel mare di merci che inonda ogni giorno gli scaffali dei supermercati. Accanto alle informazioni nutrizionali di un alimento si sta affermando anche la dicitura della quantità di anidride carbonica emessa per produrlo, mettendo in rapporto la valutazione degli effetti che i cibi hanno sulla salute e sul clima. Lo strumento utilizzato è la Carbon Footprint che possiede una grande facilità di comunicazione e di comprensione da parte del pubblico che può collegarla direttamente ad una delle priorità ambientali universalmente riconosciuta e affrontata dalle politiche ambientali globali. Il calcolo dell’impronta di carbonio è particolarmente prezioso in quanto rileva, a livello aziendale, le fasi con i maggiori impatti in un processo produttivo permettendo ai produttori di individuare le azioni da intraprendere. Inoltre, la conoscenza del dato sull’impronta di carbonio può orientare il consumatore nella scelta dei prodotti più rispettosi dell’ambiente. Occorre rilevare che queste etichette possono essere al momento utilizzate dal consumatore solo per orientare i comportamenti verso stili di vita meno inquinanti, dal momento che la quantità di CO2 emessa è tuttora una misura non standardizzata. Per esempio, sostituire almeno in parte gli alimenti di origine animale con quelli di origine vegetale, può ridurre le emissioni del singolo cittadino, come pure la scelta di rinunciare al SUV per viaggiare con i mezzi pubblici.