Con il termine acquacoltura si definisce quell'insieme di attività umane, distinte dalla pesca, finalizzate alla produzione di organismi acquatici. In tal senso, con riferimento al prodotto che se si alleva, si parla, più specificatamente, di piscicoltura, molluschicoltura, crostaceicoltura e alghicoltura.

L'acquacoltura è in forte crescita e presto probabilmente supererà, per quantità prodotte, il pesce di cattura. Secondo il pensare comune sarebbe un'ottima alternativa alla pesca, per evitare il collasso di molte specie. È davvero così?

La produzione da acquacoltura potrà superare in termini di tonnellate le quantità di pesce pescato ma non eguaglierà mai quanto a numero di specie.

A fronte, infatti, delle oltre 700 specie di pesci commestibili pescabili, le specie allevate sono pochissime: circa 10 specie di pesce, 3 di crostacei e 6 di molluschi. Inoltre la gran parte dei pesci allevati non è vegetariana e dunque ha un "costo" elevato per l'ambiente.

Sulla spinta delle campagne nutrizionali a favore del suo valore alimentare e di un contenuto calorico ridotto, la crescente richiesta di pesce da parte dei consumatori sta depauperando l'ambiente, anche perché molta fauna ittica viene utilizzata per produrre i mangimi a base di farine e oli di pesce: per produrre 1 kg di salmone destinato ai nostri piatti occorrono ben 4 kg di pesce pescato. Ma si può arrivare a 22kg di pesce selvatico per ottenere un kg di pesce allevato.

Altri potenziali impatti dell'acquacoltura sugli ambienti acquatici e sull'ambiente circostante riguardano l'ingente prelievo di acqua da falda o da bacini superficiali, il peggioramento della qualità delle acque dovuto all'aumento della torbidità, all'apporto di nutrienti (soprattutto azoto e fosforo), di sostanze tossiche (chimiche e farmaceutiche), all'aumento dei ceppi batterici resistenti agli antibiotici, all'alterazione delle comunità bentoniche ect.

Cosa puoi fare tu

Il consumo è in punto di arrivo che consente al sistema produttivo di ottenere un profitto. Lo spirito critico è la base per il consumo responsabile.

Ogni volta che si acquista un prodotto è il momento in cui il sistema produttivo giustifica la propria esistenza; se non si consumasse, la struttura produttiva collasserebbe.

Imparare a scegliere cosa comprare rappresenta lo strumento da utilizzare per comunicare le proprie idee, per incentivare o contrastare forme produttive ritenute corrette o meno.

Preferire prodotti tipici, varietà e razze locali aiuta l'ambiente e la salute

Negli ultimi anni inoltre, si assiste ad una crescente richiesta da parte dei consumatori di prodotti caratterizzati da elevati standard qualitativi, con particolare riferimento alle caratteristiche organolettiche, alla presenza di nutrienti (macro e micro) con assodate proprietà benefiche per l'organismo, in grado di migliorare in maniera rilevante lo stato di salute.

Questo spesso passa per un'attenzione verso prodotti tipici e locali, generalmente dotati di caratteristiche organolettiche peculiari e spesso più ricchi di sostanze utili per la salute rispetto ai prodotti più commerciali, magari importati che hanno viaggiato per giorni. scegliere locale e di stagione contribuisce inoltre ad una corretta conservazione e valorizzazione dell'ambiente naturale.

Prende il nome di agrobiodiversità la diversità di specie addomesticate, vegetali e animali, e rappresenta un sottoinsieme della diversità biologica generale.

La biodiversità agricola presenta caratteristiche specifiche e diverse dalla biodiversità selvatica. La prima caratteristica è che l'agrobiodiversità agricola è una risorsa essenziale per soddisfare un bisogno primario della specie umana: l'alimentazione. Inoltre, l'agrobiodiversità è il risultato del lavoro di addomesticazione, adattamento e conservazione che generazioni di agricoltori hanno realizzato fin dagli inizi dell'agricoltura, 12.000 anni fa. Mentre la biodiversità selvatica è una risorsa naturale, la biodiversità agricola è il frutto del lavoro di selezione della specie umana.

Nonostante la sua importanza vitale per la sopravvivenza umana, secondo la Fao, il tasso di biodiversità "domestica" continua a diminuire a livello mondiale per effetto della sostituzione delle razze e varietà locali con quelle cosiddette cosmopolite, standardizzate per elevate produzioni. La perdita di biodiversità avrà un notevole impatto sulla capacità dell'umanità di nutrire i 9 miliardi di persone che saranno presenti sul pianeta nel 2050, con i più poveri ad essere i più colpiti.

A livello locale, i vari sistemi di produzione alimentare sono a rischio - incluse le conoscenze, le tipicità e le tradizioni tramandate dagli agricoltori attraverso generazioni - sostituiti da un numero ridotto di varietà e razze commerciali moderne ed estremamente uniformi. Questo determina un forte declino dell'agrobiodiversità per cui molte varietà di piante coltivate e di razze animali allevate sono silenziosamente scomparse. Questa sparizione è conosciuta come "estinzione" ed è irreversibile.

Con l'estinzione di specie di perde la diversità di "materiali" genetici in grado di fornire agli agricoltori e agli allevatori la "materia prima" per selezionare nuove colture e razze produttive, resistenti a determinati tipi di stress e adatte ai cambiamenti climatici ed ambientali in atto.

La perdita di diversità genetica limita in maniera definitiva la capacità delle generazioni presenti e future di affrontare i possibili ed imprevedibili cambiamenti dell'ambiente e del clima. Infatti le specie vegetali e animali autoctone di un luogo sono caratterizzate da un elevato adattamento alle condizioni del clima e le caratteristiche del suolo locali e sono depositarie di un specificità genetica che le rende adatte al proprio territorio e alle sue specifiche caratteristiche (per esempio, alla carenza idrica).

L'utilizzo del numero più elevato possibile di razze e varietà è senza dubbio la migliore strategia per conservare il "capitale" di biodiversità, utile in risposta ai cambiamenti ambientali, alle malattie ed all'evoluzione della domanda dei consumatori. La diversità genetica è una vera e propria "assicurazione" contro i problemi futuri e le minacce come le carestie, la siccità e le epidemie.

Cause della perdita di agrobiodiversità

Durante gli ultimi 100 anni, si è verificata un'enorme perdita della diversità genetica nell'ambito delle "specie alimentari principali". Centinaia di migliaia di varietà tradizionali eterogenee di piante, coltivate e sviluppate dai contadini attraverso tante generazioni sono state sostituite con un numero ridotto di varietà commerciali moderne, estremamente uniformi.

Le cause della perdita di agro biodiversità vanno ricercate nell'orientamento di agricoltori e allevatori verso scelte tese ad aumentare produzioni attraverso l'uso di un numero limitato di varietà e di razze, l'orientamento verso la monocoltura o l'allevamento di poche specie, la forte competizione dei cultivar "universali" e scarso interesse del mercato verso i prodotti di varietà o razze 'antiche'

Gli effetti di questa perdita si rinvengono nella maggiore vulnerabilità alle malattie e quindi a catena la maggiore necessità di interventi con trattamenti chimici (fitofarmaci, concimi, ormoni, ecc.) che determina maggiore inquinamento

Gli studi condotti dalla FAO indicano inoltre come la maggior parte dei paesi dipendono dai raccolti che provengono dall'esterno per più del 90% del proprio fabbisogno alimentare. nel caso specifico dell'Italia, la dipendenza dalla diversità genetica che proviene da altri Paesi per le colture più importanti è tra il 71 e l'81%.


La biodiversità è gravemente minacciata dall'aumento della popolazione mondiale e dai suo i livelli di consumo delle risorse. Le specie si estinguono nel momento in cui l'ambiente in cui vivono viene sconvolto, alterato, distrutto dal sovrasfruttamento, dall'inquinamento, dall'urbanizzazione, dalla deforestazione e prosciugamento dei bacini idrici. La cattiva gestione dei settori agricolo e zootecnico, forestale e ittico contribuisce ad accelerare i processi di estinzione delle specie viventi.

Gli esseri umani sono mai come oggi esercitano un impatto fortissimo sulle specie e sull'ambiente, tanto da aver messo a rischio la sopravvivenza di un gran numero di piante e animali, insieme a fondamentali "servizi" della natura come l'impollinazione e la rigenerazione del suolo o la fornitura delle risorse idriche. La maggior minaccia è causata dalla distruzione o alterazione degli habitat naturali.

Per esempio, lo sfruttamento eccessivo e i metodi di pesca dannosi per l'ambiente minacciano la biodiversità acquatica. Nel Mar Mediterraneo la pesca intensiva sta riducendo le capacità riproduttiva degli stock ittici: l'82% degli stock noti è sovra sfruttato che vuol dire si catturano anche gli individui più giovani che non si sono ancora riprodotti e che mai più potranno contribuire a mantenere numerosa la propria popolazione. Il tonno rosso (Thunnus thynnus) è l'emblema delle pratiche di pesca insostenibili degli ultimi decenni.

Sulla terraferma la situazione non è diversa: la contrazione delle aree agricole e dei terreni a pascolo rappresentano oggi un serio problema per la biodiversità. Non a caso le specie legate agli agro-ecosistemi sono quelle più a rischio. La scomparsa di ambienti pascolivi (che si estendono ancora oggi su 4.000.000 di ettari, più del 39% dei quali in Sardegna), ha avuto un drammatico effetto sulle popolazioni di uccelli di steppa come la Gallina prataiola (Tetrax tetrax) e l'Occhione (Burhinus oedicnemus). Tra gli ambienti erbacei artificiali, che in parte sostituiscono queste formazioni naturali, meritano un cenno le coltivazioni di foraggiere (soprattutto erba medica e trifoglio) di notevole interesse per molti uccelli e i campi di grano duro in collina, estesi per circa mezzo milione di ettari, importanti come ambienti di nidificazione della Quaglia (Coturnix coturnix) e dell'Albanella minore (Circus pygargus).