L'acqua è fonte di vita e costituisce il nesso che lega tutti gli esseri viventi su questo Pianeta. Seppur rinnovabile, l'acqua dolce superficiale e sotterranea è una risorsa limitata e vulnerabile che può diventare scarsamente disponibile.
La scarsità idrica è in continuo aumento, così come la salinizzazione, l'inquinamento delle falde acquifere, il degrado delle risorse idriche e in generale degli ecosistemi ad esse legati. I bacini idrici interni subiscono l'effetto combinato di una riduzione dell'afflusso d'acqua e di un maggiore carico di nutrienti, soprattutto azoto e fosforo. Molti fiumi non arrivano a raggiungere le foci naturali e le zone umide stanno scomparendo.
Nel mondo, nelle principali aree di produzione cerealicola, l'ingente prelievo idrico di acqua di falda sta riducendo notevolmente le riserve sotterranee, determinandone il progressivo esaurimento, con conseguenze non solo sugli ecosistemi ma anche sulle comunità rurali che da esse strettamente dipendono. Ciò rappresenta una crescente minaccia per la produzione alimentare locale e globale.
Crisi idrica mondiale
Nonostante la grande quantità di acqua sul Pianeta (1,4 miliardi di km3), solo il 2,5% (35 milioni di km3) del volume totale è costituito da acqua dolce che, inoltre, per circa il 70% (24 milioni di km3) è imprigionata sotto forma di ghiacci e neve permanenti nelle regioni montuose, antartiche e artiche. Il restante 30% (0,7% delle risorse idriche totali) dell'acqua dolce è confinata in depositi sotterranei (falde, umidità del suolo, acquitrini, permafrost, etc.) mentre l'acqua superficiale rappresenta solo lo 0,3% (105.000 km3) del volume totale di acqua dolce e si trova nei laghi e fiumi del Pianeta. 13.000 km3 di acqua sono dispersi nell'atmosfera come vapore acqueo, una parte del quale viene restituito sotto forma di precipitazioni, che alimentano le acque superficiali e sotterranee. È evidente come solo quota piccolissima (meno dell'1%) di acqua dolce sia potenzialmente utilizzabile dall'uomo per le proprie necessità vitali.
Globalmente, gli esseri umani si appropriano del 54% di tutta l'acqua dolce accessibile, di cui il 70-80% viene utilizzato per l'irrigazione. Ciononostante oltre 1 miliardo di persone non ha accesso all'acqua potabile e 2,5 miliardi (di cui un miliardo di bambini) non dispongono di adeguati servizi igienico-sanitari. Il 70% di queste persone vive in Asia.
Le implicazioni dell'assenza di questi servizi nelle realtà urbane (nelle città del mondo, un residente su quattro - 194 milioni in totale - vive senza accesso a servizi igienici adeguati) determina l'insorgenza, secondo l'OMS, di colera, malaria e disturbi o malattie intestinali che, oggi, è la seconda causa di mortalità infantile. Ogni 15 secondi, un bambino muore per malattie connesse alla qualità idrica: si tratta di un milione e mezzo di morti l'anno che potrebbero essere prevenuti. In generale, la mancanza di acqua potabile ogni anno causa più vittime di qualsiasi forma di violenza, incluse delle guerre.
Generale aumento dei consumi
Alla crescita della popolazione si aggiunge la crescita dei livelli di consumo. Al miliardo e più di esseri umani che storicamente possiedono livelli molto elevati di consumo (i paesi della cosiddetta area OCSE ossia Stati Uniti, Canada, Europa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) si sono aggiunti oltre un miliardo di persone dei paesi di nuova industrializzazione (dalla Cina all'India, dalla Malesia, all'Indonesia, dal Brasile all'Argentina, dall'Ucraina al Sud Africa, etc.) con ormai livelli di consumo paragonabili a quelli dei paesi dell'area OCSE.
Nel 2009, la FAO stimava che per il 2050, la popolazione e i redditi in crescita costante avrebbero richiesto un aumento del 70% della produzione mondiale alimentare. Il che significa un miliardo di tonnellate di cereali e 200 milioni di tonnellate di prodotti d'allevamento da produrre in più ogni anno. Nel 2011, la stessa FAO, volendo superare il ragionamento della vecchia visione di semplice relazioni causa-effetto relativa al "siccome si incrementa la domanda di beni di consumo, perché vi è incremento di popolazione e di consumi, ergo bisogna incrementare l'offerta", ha commissionato uno studio sulla perdita di cibo lungo le filiere alimentari mondiali e sul cibo letteralmente "buttato via" da noi abitanti dei paesi ricchi. I dati mostrano una situazione allarmante e al contempo terribile. Ogni anno nel mondo si perde un terzo del cibo prodotto.
Lo spreco alimentare è stato per troppo tempo sottostimato, poco indagato e documentato. Solo negli ultimi anni, complici la persistente crisi economica globale e il crescente allarme per il cambiamento climatico, si è acuita l'attenzione per questo problema. Il perverso meccanismo della crescita economica materiale e quantitativa è giunto al capolinea. Occorre, quindi, ripensare completamente ai legami tra l'utilizzo delle risorse e la prosperità umana ed economica, avviando un grande investimento nell'innovazione tecnologica, finanziaria e sociale per ridurre e congelare i livelli di consumo pro capite nei paesi industrializzati e mirare a percorsi sostenibili nei paesi in via di sviluppo.
Acqua: le responsabilità dell'industria
Le industrie sia che producano metalli, legno, carta, prodotti chimici, gasolio, oli o altri prodotti utilizzano l'acqua in qualche parte del proprio processo produttivo.
Industria dipende fortemente dalla risorsa idrica, al pari dell'agricoltura. La dipendenza industriale dall'acqua ne rende indispensabile la corretta gestione.
L'industria utilizza in media il 22% delle risorse idriche della Terra, ma la percentuale è molto più elevata nei paesi "avanzati" (in media il 59% contro l'8% dei paesi a basso reddito ).
Non solo consumi diretti, l'industria è responsabile ogni anno dell'accumulo di 3-500 tonnellate tra metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e di altri rifiuti. Il contributo più significativo al carico di inquinanti proviene dalle industrie che utilizzano materie prime organiche e tra queste primeggia il settore alimentare come quello maggiormente inquinante. Il settore agro-alimentare dei paesi ad alto redito è responsabile del 40% dell'inquinamento organico in ecosistemi di acqua dolce, mentre per i paesi a basso reddito il contributo sale al 54%. In questi paesi, il 70% dei rifiuti industriali viene scaricato non trattato, inquinando anche l'approvvigionamento di acqua potabile. Utilizzare una minor quantità d'acqua riuscendo al tempo stesso a produrre più cibo o prodotti sarà cruciale per affrontare i problemi legati alla scarsità delle risorse idriche.
Tale scarsità potrebbe inoltre essere aggravata da alterazioni negli schemi delle precipitazioni causate dai cambiamenti climatici in atto. Il riscaldamento globale causa della fusione dei ghiacciai che alimentano i maggiori fiumi asiatici nella stagione secca, più precisamente nel periodo in cui è più forte la necessità di acqua per irrigare i raccolti dai quali dipendono centinaia di milioni di persone. In questo esempio, il cambiamento climatico potrebbe accentuare i problemi relativi alla
scarsità cronica di acqua e spingere oltre il punto di rottura il servizio eco sistemico che garantisce un approvvigionamento regolare di acqua pulita.
Agricoltura e risorse idriche
Il fabbisogno idrico giornaliero pro capite è di 2-4 litri, ma sono necessari da 2.000 a 5.000 litri di acqua per produrre il cibo che una persona mangia ogni giorno.
L'agricoltura assorbe la maggior parte delle risorse idriche del Pianeta: le pratiche irrigue contribuiscono attualmente al 40% della produzione alimentare mondiale riuscendo a determinare un aumento della produttività delle colture dal 100 al 400%.
Negli ultimi 30 anni la produzione alimentare è aumentata di oltre il 100% e l'agricoltura ha risposto con il raddoppiamento del volume produttivo e la triplicazione del commercio agricolo mondiale. Nello stesso periodo, il consumo medio di cibo pro capite è aumentato di quasi un quinto, passando dalle 2.360 kcal per persona al giorno della metà degli anni '60 alle 2.800 kcal per persona del giorno oggi; nel gruppo dei paesi a basso reddito il consumo di cibo è aumentato del 30% con un netto miglioramento delle situazioni nutrizionale.
L'agricoltura mentre da un lato risponde alle necessità di sfamare il mondo produce anche una vasta gamma di colture non alimentari (tra cui cotone, gomma, caffè e tè, oli industriali e biocombustibili), confermando il proprio ruolo di maggior consumatore di acqua sul globo. L'irrigazione utilizza ormai un quantitativo prossimo al 70% di tutta l'acqua dolce disponibile per l'uso umano, arrivando a oltre il 95% nei paesi in via di sviluppo. Questa percentuale, tuttavia, si riferisce esclusivamente al prelievo di acqua superficiale e sotterranea (laghi, fiumi e falde) e non tiene conto dell'acqua immagazzinata nel terreno dalle piogge, utilizzata comunque nella produzione agricola.
In Europa, l'attività agricola consuma mediamente il 46% della risorsa idrica, contro il 19% della produzione elettrica, il 18% delle forniture idriche e il 17% dell'industria. In Italia circa il 60% dell'acqua dolce è utilizzato per l'agricoltura, il 25% per l'industria e il 25% per gli usi domestici.
L'aumento della popolazione mondiale determinerà inequivocabilmente un aumento del fabbisogno idrico, non solo per il consumo umano (acqua potabile o prelievi irrigui per la produzione alimentare), ma anche per tutti quegli usi correlati al cambiamento delle abitudini connesse con la salute e l'allungamento della vita media.
Il settore agricolo è chiamato ad affrontare una sfida complessa: produrre più cibo di migliore qualità utilizzando meno acqua per unità di prodotto. Per mettere in atto un uso sostenibile della risorsa idrica è necessario tenere conto dell'intero ciclo dell'acqua, assicurando una gestione del territorio che favorisca la conservazione sia quantitativa sia qualitativa dell'acqua dolce disponibile a livello di bacini idrografici.
Connessi agli sprechi alimentari ci sono sprechi "diretti" della filiera (industria alimentare e grande distribuzione organizzata) e "indiretti" (fertilizzanti, fitosanitari, energia, acqua).
Lo spreco alimentare ha conseguenze non solo etiche, economiche, sociali ma anche sanitarie e ambientali, dal momento che le enormi quantità di cibo non consumato contribuiscono fortemente al riscaldamento globale e alle carenze idriche.
Per ogni kg di cibo si emettono in media 4,5 chilogrammi di CO2 : ne consegue che le 89 milioni di tonnellate di cibo sprecate in Europa producono 170 milioni di tonnellate di CO2eq l'anno. Oltre alla CO2 in quanto la decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas a effetto serra 21 volte più potente del biossido di carbonio.
Oltre alla CO2, enormi quantità d'acqua sono necessarie a produrre il cibo che mangiamo ogni giorno. In particolare, la produzione di carne necessita di una quantità di acqua maggiore rispetto ad altre produzioni vegetali. Per ottenere un chilo di mele sono necessari 820 litri, per un kg di mais 1.220 litri di acqua, per un chilo di riso 2.500 litri, per un chilo di pollo 4.300 litri, per un chilo di maiale 5.990 litri e per un chilo manzo ben 15.500 litri di acqua.
A determinare numeri così elevati sono le 3 componenti dell'utilizzo idrico individuate dal calcolo dell'impronta idrica: l'acqua piovana, l'acqua di falda e l'acqua che torna inquinata all'ambiente.
Nel caso della carne, oltre al consumo diretto d'acqua per esempio per dissetare gli animali, bisogna considerare quanta acqua è servita per far crescere soia, foraggio e cereali e per il resto della filiera incluso il problema dello smaltimento dell'enorme quantità di deiezioni prodotte e i fertilizzanti e pesticidi che inquinano fortemente le risorse idriche.
Per risparmiare davvero acqua è fondamentale diminuire i consumi di alimenti animali, privilegiando il consumo diretto di vegetali (cereali, legumi, verdura, frutta, nelle migliaia di possibili ricette appetitose che si possono preparare): come singola azione da compiere è la più potente in assoluto, molto di più di qualsiasi altra azione di risparmio il singolo cittadino possa intraprendere
Ridurre gli sprechi di prodotti commestibili consentirebbe un più efficiente utilizzo dei terreni, una migliore gestione delle risorse idriche oltre a ricadute benefiche su tutto il comparto agricolo a livello mondiale.
Il nostro paese è molto ricco di fonti idriche naturali ciononostante gli italiani sono i primi consumatori di acqua minerale non solo in Europa, ma molto probabilmente nel mondo.
Il consumo medio annuo pro capite è di oltre 190 litri che in media costano ad ognuno circa 40 euro l'anno (considerando un prezzo medio di 0,30 centesimi per una bottiglia da 1,5 l), oltre al forte impatto ambientale che questo determina.
L'acqua in bottiglia infatti non solo consuma le risorse idriche, ma utilizza per la produzione delle bottiglie che servono a contenerla, tonnellate di petrolio e altri materiali, contribuisce alle emissioni di gas serra e all'inquinamento atmosferico per il trasporto su gomma necessario alla sua distribuzione. L'acqua che esce ogni giorno dal rubinetto costa solo 0,002 euro al litro.
Bevendo quindi l'acqua del rubinetto si risparmiano molti soldi
1,8 € = 6 bottiglie di acqua minerale
1,8 € = circa 900 l di acqua di rubinetto
Negli ultimi quattro decenni, molti paesi del mondo hanno sperimentato crescita economica, riduzione della povertà e miglioramento del benessere. Questi cambiamenti sono stati raggiunti a spese degli ecosistemi del Pianeta e della loro capacità di sostenere la vita. Nella nostra moderna civiltà altamente tecnologizzata è facile dimenticare che l'economia – e in realtà la nostra stessa esistenza - dipendono interamente dai sistemi naturali e dalle risorse del Pianeta.
Secondo la Fao, un quarto dei terreni mondiali è fortemente degradato (che vuol dire che il suolo e le risorse idriche sono degradate e si assiste a perdita di biodiversità). Un altro 8% è moderatamente degradato, il 36% è stabile o leggermente degradato e il 10% è classificato come "in miglioramento". Le restanti quote della superficie agricola terrestre sono completamente brulle (il 18%) o coperte da bacini idrografici interni (circa il 2%).
Si assiste ad un disequilibrio tra domanda e disponibilità di terre e risorse idriche sia a livello locale sia nazionale. Il numero di aree che hanno ormai quasi raggiunto i limiti della propria capacità produttiva sta aumentando rapidamente.
Tra il 1961 e il 2009, la superficie mondiale coltivata è si è estesa del 12%, ma la produzione agricola è cresciuta del 150%, grazie ad un notevole aumento dei raccolti delle colture principali. Ad allarmare però il dato Fao secondo cui i tassi di crescita della produzione agricola sono andati rallentando in molte aree e sono oggi pari alla metà di quanto fossero durante il periodo della Rivoluzione Verde.
Circa il 40% delle terre considerate degradate a livello mondiale si trova in zone con alti tassi di povertà. Tuttavia, segno che il degrado delle terre costituisce una minaccia per tutti i livelli di reddito, il 30% delle terre degradate si trova in aree con livelli di povertà moderati ed il 20% in aree a bassi livelli di povertà. Tra le aree più colpite da perdita della qualità del suolo, seguita dalla perdita di biodiversità e dall'esaurimento delle risorse idriche, c'è la costa occidentale delle Americhe, la regione mediterranea dell'Europa Meridionale e del Nord Africa, nella regione del Sahel e del Corno d'Africa, e in tutta l'Asia.
Oltre 1,6 miliardi di ettari delle terre migliori e più produttive a livello mondiale sono attualmente usate per colture agricole. Una parte è soggetta a un progressivo degrado a causa di pratiche agricole che facilitano l'erosione del suolo da parte di acqua e vento, la perdita di materiale organico, la compattazione del terreno in superficie, la salinizzazione e l'inquinamento del suolo e la perdita dei nutrienti.
Scarsità di risorse idriche
L'acqua è fonte di vita e costituisce il nesso che lega tutti gli esseri viventi su questo Pianeta. Seppur rinnovabile, l'acqua dolce superficiale e sotterranea è una risorsa limitata e vulnerabile che può diventare scarsamente disponibile.
La scarsità idrica è in continuo aumento, così come la salinizzazione, l'inquinamento delle falde acquifere, il degrado delle risorse idriche e in generale degli ecosistemi ad esse legati. I bacini idrici interni subiscono l'effetto combinato di una riduzione dell'afflusso d'acqua e di un maggiore carico di nutrienti, soprattutto azoto e fosforo. Molti fiumi non arrivano a raggiungere le foci naturali e le zone umide stanno scomparendo.
Nel mondo, nelle principali aree di produzione cerealicola, l'ingente prelievo idrico di acqua di falda sta riducendo notevolmente le riserve sotterranee, determinandone il progressivo esaurimento, con conseguenze non solo sugli ecosistemi ma anche sulle comunità rurali che da esse strettamente dipendono. Ciò rappresenta una crescente minaccia per la produzione alimentare locale e globale.
Crisi idrica mondiale
Nonostante la grande quantità di acqua sul Pianeta (1,4 miliardi di km3), solo il 2,5% (35 milioni di km3) del volume totale è costituito da acqua dolce che, inoltre, per circa il 70% (24 milioni di km3) è imprigionata sotto forma di ghiacci e neve permanenti nelle regioni montuose, antartiche e artiche. Il restante 30% (0,7% delle risorse idriche totali) dell'acqua dolce è confinata in depositi sotterranei (falde, umidità del suolo, acquitrini, permafrost, etc.) mentre l'acqua superficiale rappresenta solo lo 0,3% (105.000 km3) del volume totale di acqua dolce e si trova nei laghi e fiumi del Pianeta. 13.000 km3 di acqua sono dispersi nell'atmosfera come vapore acqueo, una parte del quale viene restituito sotto forma di precipitazioni, che alimentano le acque superficiali e sotterranee. È evidente come solo quota piccolissima (meno dell'1%) di acqua dolce sia potenzialmente utilizzabile dall'uomo per le proprie necessità vitali.
Globalmente, gli esseri umani si appropriano del 54% di tutta l'acqua dolce accessibile, di cui il 70-80% viene utilizzato per l'irrigazione. Ciononostante oltre 1 miliardo di persone non ha accesso all'acqua potabile e 2,5 miliardi (di cui un miliardo di bambini) non dispongono di adeguati servizi igienico-sanitari. Il 70% di queste persone vive in Asia.
Le implicazioni dell'assenza di questi servizi nelle realtà urbane (nelle città del mondo, un residente su quattro - 194 milioni in totale - vive senza accesso a servizi igienici adeguati) determina l'insorgenza, secondo l'OMS, di colera, malaria e disturbi o malattie intestinali che, oggi, è la seconda causa di mortalità infantile. Ogni 15 secondi, un bambino muore per malattie connesse alla qualità idrica: si tratta di un milione e mezzo di morti l'anno che potrebbero essere prevenuti. In generale, la mancanza di acqua potabile ogni anno causa più vittime di qualsiasi forma di violenza, incluse delle guerre.
Generale aumento dei consumi
Alla crescita della popolazione si aggiunge la crescita dei livelli di consumo. Al miliardo e più di esseri umani che storicamente possiedono livelli molto elevati di consumo (i paesi della cosiddetta area OCSE ossia Stati Uniti, Canada, Europa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) si sono aggiunti oltre un miliardo di persone dei paesi di nuova industrializzazione (dalla Cina all'India, dalla Malesia, all'Indonesia, dal Brasile all'Argentina, dall'Ucraina al Sud Africa, etc.) con ormai livelli di consumo paragonabili a quelli dei paesi dell'area OCSE.
Nel 2009, la FAO stimava che per il 2050, la popolazione e i redditi in crescita costante avrebbero richiesto un aumento del 70% della produzione mondiale alimentare. Il che significa un miliardo di tonnellate di cereali e 200 milioni di tonnellate di prodotti d'allevamento da produrre in più ogni anno. Nel 2011, la stessa FAO, volendo superare il ragionamento della vecchia visione di semplice relazioni causa-effetto relativa al "siccome si incrementa la domanda di beni di consumo, perché vi è incremento di popolazione e di consumi, ergo bisogna incrementare l'offerta", ha commissionato uno studio sulla perdita di cibo lungo le filiere alimentari mondiali e sul cibo letteralmente "buttato via" da noi abitanti dei paesi ricchi. I dati mostrano una situazione allarmante e al contempo terribile. Ogni anno nel mondo si perde un terzo del cibo prodotto.
Lo spreco alimentare è stato per troppo tempo sottostimato, poco indagato e documentato. Solo negli ultimi anni, complici la persistente crisi economica globale e il crescente allarme per il cambiamento climatico, si è acuita l'attenzione per questo problema. Il perverso meccanismo della crescita economica materiale e quantitativa è giunto al capolinea. Occorre, quindi, ripensare completamente ai legami tra l'utilizzo delle risorse e la prosperità umana ed economica, avviando un grande investimento nell'innovazione tecnologica, finanziaria e sociale per ridurre e congelare i livelli di consumo pro capite nei paesi industrializzati e mirare a percorsi sostenibili nei paesi in via di sviluppo.
Acqua: le responsabilità dell'industria
Le industrie sia che producano metalli, legno, carta, prodotti chimici, gasolio, oli o altri prodotti utilizzano l'acqua in qualche parte del proprio processo produttivo.
Industria dipende fortemente dalla risorsa idrica, al pari dell'agricoltura. La dipendenza industriale dall'acqua ne rende indispensabile la corretta gestione.
L'industria utilizza in media il 22% delle risorse idriche della Terra, ma la percentuale è molto più elevata nei paesi "avanzati" (in media il 59% contro l'8% dei paesi a basso reddito ).
Non solo consumi diretti, l'industria è responsabile ogni anno dell'accumulo di 3-500 tonnellate tra metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e di altri rifiuti. Il contributo più significativo al carico di inquinanti proviene dalle industrie che utilizzano materie prime organiche e tra queste primeggia il settore alimentare come quello maggiormente inquinante. Il settore agro-alimentare dei paesi ad alto redito è responsabile del 40% dell'inquinamento organico in ecosistemi di acqua dolce, mentre per i paesi a basso reddito il contributo sale al 54%. In questi paesi, il 70% dei rifiuti industriali viene scaricato non trattato, inquinando anche l'approvvigionamento di acqua potabile. Utilizzare una minor quantità d'acqua riuscendo al tempo stesso a produrre più cibo o prodotti sarà cruciale per affrontare i problemi legati alla scarsità delle risorse idriche.
Tale scarsità potrebbe inoltre essere aggravata da alterazioni negli schemi delle precipitazioni causate dai cambiamenti climatici in atto. Il riscaldamento globale causa della fusione dei ghiacciai che alimentano i maggiori fiumi asiatici nella stagione secca, più precisamente nel periodo in cui è più forte la necessità di acqua per irrigare i raccolti dai quali dipendono centinaia di milioni di persone. In questo esempio, il cambiamento climatico potrebbe accentuare i problemi relativi alla
scarsità cronica di acqua e spingere oltre il punto di rottura il servizio eco sistemico che garantisce un approvvigionamento regolare di acqua pulita.
Agricoltura e risorse idriche
Il fabbisogno idrico giornaliero pro capite è di 2-4 litri, ma sono necessari da 2.000 a 5.000 litri di acqua per produrre il cibo che una persona mangia ogni giorno.
L'agricoltura assorbe la maggior parte delle risorse idriche del Pianeta: le pratiche irrigue contribuiscono attualmente al 40% della produzione alimentare mondiale riuscendo a determinare un aumento della produttività delle colture dal 100 al 400%.
Negli ultimi 30 anni la produzione alimentare è aumentata di oltre il 100% e l'agricoltura ha risposto con il raddoppiamento del volume produttivo e la triplicazione del commercio agricolo mondiale. Nello stesso periodo, il consumo medio di cibo pro capite è aumentato di quasi un quinto, passando dalle 2.360 kcal per persona al giorno della metà degli anni '60 alle 2.800 kcal per persona del giorno oggi; nel gruppo dei paesi a basso reddito il consumo di cibo è aumentato del 30% con un netto miglioramento delle situazioni nutrizionale.
L'agricoltura mentre da un lato risponde alle necessità di sfamare il mondo produce anche una vasta gamma di colture non alimentari (tra cui cotone, gomma, caffè e tè, oli industriali e biocombustibili), confermando il proprio ruolo di maggior consumatore di acqua sul globo. L'irrigazione utilizza ormai un quantitativo prossimo al 70% di tutta l'acqua dolce disponibile per l'uso umano, arrivando a oltre il 95% nei paesi in via di sviluppo. Questa percentuale, tuttavia, si riferisce esclusivamente al prelievo di acqua superficiale e sotterranea (laghi, fiumi e falde) e non tiene conto dell'acqua immagazzinata nel terreno dalle piogge, utilizzata comunque nella produzione agricola.
In Europa, l'attività agricola consuma mediamente il 46% della risorsa idrica, contro il 19% della produzione elettrica, il 18% delle forniture idriche e il 17% dell'industria. In Italia circa il 60% dell'acqua dolce è utilizzato per l'agricoltura, il 25% per l'industria e il 25% per gli usi domestici.
L'aumento della popolazione mondiale determinerà inequivocabilmente un aumento del fabbisogno idrico, non solo per il consumo umano (acqua potabile o prelievi irrigui per la produzione alimentare), ma anche per tutti quegli usi correlati al cambiamento delle abitudini connesse con la salute e l'allungamento della vita media.
Il settore agricolo è chiamato ad affrontare una sfida complessa: produrre più cibo di migliore qualità utilizzando meno acqua per unità di prodotto. Per mettere in atto un uso sostenibile della risorsa idrica è necessario tenere conto dell'intero ciclo dell'acqua, assicurando una gestione del territorio che favorisca la conservazione sia quantitativa sia qualitativa dell'acqua dolce disponibile a livello di bacini idrografici.