Connessi agli sprechi alimentari ci sono sprechi "diretti" della filiera (industria alimentare e grande distribuzione organizzata) e "indiretti" (fertilizzanti, fitosanitari, energia, acqua).
Lo spreco alimentare ha conseguenze non solo etiche, economiche, sociali ma anche sanitarie e ambientali, dal momento che le enormi quantità di cibo non consumato contribuiscono fortemente al riscaldamento globale e alle carenze idriche.
Per ogni kg di cibo si emettono in media 4,5 chilogrammi di CO2 : ne consegue che le 89 milioni di tonnellate di cibo sprecate in Europa producono 170 milioni di tonnellate di CO2eq l'anno. Oltre alla CO2 in quanto la decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas a effetto serra 21 volte più potente del biossido di carbonio.
Oltre alla CO2, enormi quantità d'acqua sono necessarie a produrre il cibo che mangiamo ogni giorno. In particolare, la produzione di carne necessita di una quantità di acqua maggiore rispetto ad altre produzioni vegetali. Per ottenere un chilo di mele sono necessari 820 litri, per un kg di mais 1.220 litri di acqua, per un chilo di riso 2.500 litri, per un chilo di pollo 4.300 litri, per un chilo di maiale 5.990 litri e per un chilo manzo ben 15.500 litri di acqua.
A determinare numeri così elevati sono le 3 componenti dell'utilizzo idrico individuate dal calcolo dell'impronta idrica: l'acqua piovana, l'acqua di falda e l'acqua che torna inquinata all'ambiente.
Nel caso della carne, oltre al consumo diretto d'acqua per esempio per dissetare gli animali, bisogna considerare quanta acqua è servita per far crescere soia, foraggio e cereali e per il resto della filiera incluso il problema dello smaltimento dell'enorme quantità di deiezioni prodotte e i fertilizzanti e pesticidi che inquinano fortemente le risorse idriche.
Per risparmiare davvero acqua è fondamentale diminuire i consumi di alimenti animali, privilegiando il consumo diretto di vegetali (cereali, legumi, verdura, frutta, nelle migliaia di possibili ricette appetitose che si possono preparare): come singola azione da compiere è la più potente in assoluto, molto di più di qualsiasi altra azione di risparmio il singolo cittadino possa intraprendere
Ridurre gli sprechi di prodotti commestibili consentirebbe un più efficiente utilizzo dei terreni, una migliore gestione delle risorse idriche oltre a ricadute benefiche su tutto il comparto agricolo a livello mondiale.
Nei paesi ricchi la maggior quota di sprechi - oltre il 40% dello spreco totale - si concretizza a livello della distribuzione e soprattutto dei consumi ossia quando il cibo è ancora perfettamente consumabile, mentre nei paesi in via di sviluppo le perdite e gli sprechi maggiori si concretizzano a livello agricolo e di prima trasformazione, soprattutto a causa dell'inadeguatezze strutturale della filiera.
Nei vari passaggi che vanno dalla produzione al consumo, lo spreco arriva fino al 50% del cibo: pari a circa 179 kg pro capite come media europea, senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o le catture di pesce rigettate in mare. Il tutto, mentre ancora 79 milioni di persone in Europa vivono al di sotto della soglia di povertà, con un 15% dei cittadini che percepisce un reddito inferiore al 60% del reddito medio del paese di residenza
Nell'industria, parte delle perdite è strettamente correlata alla natura del prodotto e risulta necessaria per esempio per trasformare la derrata da agricola ad alimentare. In altri casi invece, lo spreco è connesso all'attività gestionale dell'impresa che vanno dall'organizzazione della produzione e/o commercializzazione all'attività di marketing: si generano sprechi quando il packaging risulta difettato o danneggiato, per cambi di immagine, lancio di nuovi prodotti, prossimità della data di scadenza, residui di promozioni, etc. È stato stimato come il 90% di ciò che viene sprecato potrebbe essere ancora utilmente recuperato e utilizzato per l'alimentazione umana.
La ricetta consiste nel migliorare l'efficienza della catena agroalimentare, promuovendo modelli di produzione e consumo più efficienti e sostenibili, aiuta a ridurre il costo del cibo e ne aumentare la possibilità di accesso. Ciò determinerebbe una riduzione degli impatti connessi dallo spreco sia in termini economici, sia in termini ambientali e sociali.
Viviamo in un tempo caratterizzato da forti paradossi in ambito alimentare: la FAO nei rapporti sullo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo, ricorda come il numero di denutriti sulla Terra si aggiri, da qualche anno, intorno al miliardo di persone e potrebbe subire nuovi incrementi connessi gli effetti provocati dagli sbalzi dei prezzi dei beni alimentari di base sui mercati internazionali. Nell'altra parte del mondo, gli obesi hanno raggiunto numeri analoghi. Ne consegue che oltre 2 miliardi di persone sono mal-nutrite, mangiano troppo o troppo poco con gravi problemi economici, ambientali, sociali e sanitari.
Lungo la filiera alimentare si spreca un quantitativo di cibo che permetterebbe di sfamare due terzi della popolazione mondiale: tutto questo cibo diventa invece rifiuto ancora una volta con enormi ripercussioni ambientali oltre che economiche.
Nel 2011 sempre la FAO ha pubblicato dati sulla perdita di cibo lungo le filiere alimentari mondiali e sul cibo letteralmente "buttato via" da noi abitanti dei paesi ricchi. I dati non possono che farci riflettere. Ogni anno nel mondo si perdono un miliardo e 300 milioni di tonnellate di cibo; ogni anno i consumatori dei paesi ricchi buttano via una quantità di cibo, stimato in 222 milioni di tonnellate comparabile all'intera produzione alimentare dell'Africa sub-sahariana, calcolata in 230 milioni di tonnellate
Ad oggi quasi la metà della produzione agricola mondiale viene utilizzata come mangime per gli animali che costituiscono la base di carne per l'alimentazione umana; inoltre il consumo medio di carne è previsto possa passare dai 37,4 kg/pro capite/annui ad oltre i 52 kg/pro capite/annui al 2050. La perdita di calorie che risulta dall'alimentare gli animali da carne con prodotti cerealicoli, invece di utilizzare direttamente i cereali come cibo per gli individui, equivale alle necessità di calorie per più di 3,5 miliardi e mezzo di esseri umani.
A livello globale, i prezzi per gli alimenti hanno subito forti spinte al rialzo e continui andamenti imprevedibili, sostenuti dalla crescita della domanda di carne in Asia, di grano in Africa, di biocombustibili in Europa e America del Nord e da altri fattori. In futuro, è poi probabile che il cambiamento climatico possa aggravare tali pressioni, rendendo più difficile la situazione per gli agricoltori e per tutto il genere umano.
Mentre una parte del Pianeta è stretta nella morsa della siccità e dell'avanzare della desertificazione (che colpisce proprio quelle regioni storicamente poco toccate dal problema), sulle pagine di tutti i quotidiani si riportano gli ingenti danni economici provocati all'agricoltura dalle alluvioni, che devastano intere coltivazioni.
Cos'è lo spreco
il termine spreco è definito come l'insieme di quei prodotti alimentari che hanno perso valore commerciale e che vengono scartati dalla catena agroalimentare, ma che potrebbero essere ancora destinati al consumo umano. Si tratta di prodotti perfettamente utilizzabili, ma non più vendibili, e che sono destinati a essere eliminati e smaltiti, in assenza di un possibile uso alternativo. I prodotti così classificati perdono le caratteristiche di "merce", ma non quelle di "alimento", quindi sono prodotti invenduti ma non invendibili.
Lo spreco alimentare è un fenomeno che per lungo tempo è stato estremamente sottostimato. Negli ultimi anni, complici la crisi economica globale, la volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli e il crescente allarme per il cambiamento climatico, si è accresciuta l'attenzione su tale problema, nonché sugli sprechi di materie prime e risorse energetiche connessi.
Perdite di derrate alimentari si possono verificare ad ogni livello della catena agroalimentare, dalla produzione al consumo. Alcuni di queste non possono essere previste nè talvolta prevenute (come le perdite connesse all'andamento climatico o all'aggressione da parte di patogeni), altre potrebbero invece essere almeno in parte contenute grazie ad una migliore gestione aziendale o una migliore educazione del consumatore.
La Fao stima che la produzione alimentare necessaria al 2050 richiederebbe un aumento nella produzione agricola del 70%, considerati l'incremento previsto della popolazione umana (che dovrebbe raggiungere per quell'anno i 9,3 miliardi di abitanti) e i cambiamenti attesi nella dieta e nei livelli di consumo associati all'incremento dell'urbanizzazione.
Ad oggi le perdite post-raccolto ammontano al 14% circa della produzione agricola totale e che un altro 15% è perso in fase di distribuzione e sotto forma di rifiuti domestici, si potrebbero coprire i tre quinti dell'aumento totale della produzione alimentare necessario entro il 2050 semplicemente smettendo di sprecare cibo.
Oggi oltre il 50% della popolazione umana (circa 3miliardi e mezzo di persone) vive in aree urbane e nel 2050 due persone su tre (6 miliardi di individui) vivranno in aree urbane. L'urbanizzazione associata all'incremento dei consumi condurrà all'esacerbarsi della pressione sui sistemi naturali rispetto alla situazione attuale
Inoltre, se nelle economie industrializzate si assiste ad un continuo incremento il tasso di cementificazione a scapito della superficie agricola, nei paesi in via di sviluppo prosegue a tassi allarmanti la deforestazione a per creare nuovi spazi per l'agricoltura. Le conseguenti ripercussioni sulla biodiversità, sulla conservazione delle acque e del suolo, sulle società, sulla salute e sulla mitigazione dei cambiamenti climatici in atto sono solo alcuni degli effetti della deforestazione
Dopo quasi mezzo secolo dalla cosiddetta Rivoluzione Verde, che ha fortemente incrementato la produttività agricola con l'utilizzo di nuove sementi selezionate e significativi input di energia, fertilizzanti artificiali e pesticidi, una quota considerevole dell'umanità (che si aggira intorno al miliardo di individui) soffre ancora di fame cronica.
Inoltre, gran parte dei risultati della Rivoluzione Verde sono stati ottenuti con un'agricoltura intensiva che dipende pesantemente dai combustibili fossili. La questione dell'aumento della produttività dei terreni agricoli del pianeta è inficiata dalla questione se sia possibile farlo senza compromettere i suoli fertili, i cicli idrici e la diversità delle colture da cui dipendiamo
A fronte di una domanda globale in aumento, le materie prime e le risorse scarseggiano.
Il riscaldamento climatico provocherà un cambiamento della distribuzione globale delle precipitazioni, un ulteriore innalzamento del livello dei mari e una maggiore frequenza e intensità di eventi estremi (ondate di caldo, siccità, violente precipitazioni e cicloni tropicali). Gli effetti saranno diversi a seconda del luogo. Garantire cibo sufficiente alla popolazione mondiale con tali presupposti è una sfida particolare e richiede adeguamenti lungo l'intera fi